Nel 2007 papa Benedetto XVI chiariva definitivamente che il “vecchio rito” della Messa (la cosiddetta Messa in latino) non era mai stato abolito e che, quindi, non era impedita la sua celebrazione a quei sacerdoti che lo desiderassero, come pure ai fedeli intenzionati a parteciparvi. Nella sua profonda saggezza, frutto anche di studi approfonditi e di sensibilità pastorale, il Papa spiegava così la sua decisione, per molti inopportuna e persino pericolosa:
“Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”.
La S. Messa celebrata nella forma che il Papa chiama “straordinaria”, non si pone in alcun modo contro l’altra che è, e rimane, “ordinaria” come dice ancora Benedetto XVI.
Il Papa non intendeva riportare indietro la Chiesa, cancellare il cammino che è stato fatto e annullare la riforma liturgica. Desiderava semplicemente arricchire la preghiera cristiana recuperando più apertamente alcune dimensioni che il rito attualmente in uso certamente non ha dimenticate, ma che in quello precedente erano forse maggiormente sottolineate.
Attingendo alla forma straordinaria, i credenti possono percepire la vastità del Mistero che celebrano, ed esprimerlo poi anche nel rito più comunemente seguito nelle nostre chiese.
Vediamo insieme alcuni aspetti caratteristici della S. Messa celebrata al modo antico.
IL LATINO
Questo rito è conosciuto più comunemente come Messa in latino, proprio perché in tutta la Liturgia, (eccezion fatta, a discrezione, per le letture ed eventualmente qualche canto popolare) si usa tale lingua. Il latino esprime l’universalità della preghiera e la sua continuità attraverso il tempo: a partire dal IV secolo cristiano, infatti, il latino costituisce la lingua ufficiale del culto della Chiesa Cattolica Occidentale.
Il latino della Messa non costituisce comunque un grave ostacolo perché, con un po’ di esercizio abituale, lo si comprende facilmente.
L’ORIENTAMENTO DEL CELEBRANTE
Un’altra caratteristica del rito straordinario è data dal fatto che il sacerdote “volge le spalle ai fedeli”. Ciò si spiega perché, nell’antichità, e ancor oggi in molte religioni, la posizione della preghiera è “verso Oriente” (verso il sole che sorge). Anche quando poi si perse tale simbolismo, il sacerdote ha continuato, comunque, a rimanere rivolto verso Dio, alla testa di tutto un popolo che guarda continuamente all’Onnipotente Signore, come fonte della vita e della speranza. In questo modo di celebrare la Messa viene evidenziato particolarmente il ruolo del sacerdote come “intercessore” davanti a Dio in favore di tutti i fedeli che gli sono affidati.
L’ALTARE
Nella persona del celebrante Gesù Cristo stesso rinnova il sacrificio che ha compiuto una volta per tutte sul Calvario. Ecco perché l’altare è come il colle sopra il quale fu impiantata la Croce del nostro Redentore e, proprio salendo quei pochi gradini, è come se il sacerdote fosse ai piedi di quella Croce con la quale Gesù ci ha dimostrato il suo amore indicibile. Naturalmente l’altare è anche mensa, perché noi beneficiamo dei frutti della redenzione proprio comunicando al Corpo del Signore.
IL RITO
Le regole che il sacerdote e i fedeli devono seguire nel Rito sono minuziosamente precisate nelle rubriche del Messale. Questa fissità serve a far comprendere che la Liturgia non ci appartiene, ma è il tesoro che la tradizione della Chiesa ci affida e che, sacerdote e fedeli, devono amministrare con somma cura e delicatezza.
La partecipazione del popolo è data dalle risposte al celebrante, dal canto, ma soprattutto dall’adesione interiore, di fede, al Sacrosanto Sacrificio dell’altare. E’ auspicabile, comunque, che i fedeli possano avere tra le mani qualche sussidio (meglio se sanno usare il Messalino completo) per comprendere le varie fasi del rito e le formule, anche quelle dette a voce bassa, pronunciate dal Sacerdote all’altare.
IL CANTO
Il canto proprio della Liturgia romana è il “gregoriano” (dal nome del papa San Gregorio Magno, Sommo Pontefice dal 590 al 604), ma sono ammessi anche altri canti purché consoni alla dignità e alla grandezza del rito.
Queste sono alcune delle caratteristiche della Messa Tradizionale, ma è soprattutto partecipandovi con una certa regolarità che si può imparare a conoscerla, ad amarla, a goderne i frutti di bene che essa produce nell’anima dei fedeli ben disposti.