Un fazzoletto di ricordi

SANDRIGO – Un premio al sacerdote scrittore

Don Pierangelo Rigon, residente a Sandrigo in via Roma, è stato recentemente premiato dalla direzione del settimanale “Famiglia Cristiana” per il racconto inviato al concorso “Le mamme si raccontano”, che la giuria ha particolarmente apprezzato.
Don Pierangelo Rigon, nella ricorrenza del quindicesimo anno di ordinazione sacerdotale, avvenuta il 9-4-’83, è stato brillante autore del racconto “Un fazzoletto di ricordi”, in cui rievoca la trepidazione di sua madre verso la predisposizione del figlio al sacerdozio, da quando si era ritirato presso i padri benedettini di Praglia per disporre meglio il suo spirito all’ordinazione.
“Il fazzoletto dei ricordi” è rimbalzato alla memoria di don Pierangelo proprio nella ricorrenza del quindicesimo anno di ordinazione sacerdotale, ricordando quel numeretto 235 in rosso, numero di matricola di don Pierangelo quando è entrato in seminario, scritto su tutti gli indumenti: magliette, calzini, mutande, lenzuola e fazzoletti.
Nel racconto don Pierangelo ricorda il giovane aspirante sacerdote affascinato dagli aspetti religiosi della vita, riservando tanta felicità a papà e mamma, specie nel giorno radioso dell’ordinazione sacerdotale.
Mamma Milena e papà Orlando, a 15 anni dall’ordinazione sacerdotale del figlio, conservano ancora a ricordo il fazzolettino “235”.

“Il Giornale di Vicenza”, 9 aprile 1998


Le campane sonavano a festa già da qualche giorno, a mezzodì puntuali.
I preparativi s’intensificavano.
Momenti straordinari che non avrei mai pensato di poter vivere.
Se me l’avessero detto, non ci avrei creduto.
Mio figlio – la causa felice di tutto – era ritirato presso i benedettini di Praglia per disporre meglio il suo spirito all’ordinazione sacerdotale; noi, intanto, combinavamo la parte esteriore del grande evento.
Parenti e amici da ricevere, pacchi – dono che arrivavano in continuazione, le telefonate che ci subissavano.
Faceva tutto piacere, indubbiamente, ma che stress però!
Godevo alcuni giorni di libertà dalla scuola elementare in cui insegnavo; erano già arrivati in quarta i miei marmocchi.
Pensavo di portarli alla licenza e poi far domanda di pensione, per potermi dedicare a qualche altro impegno in società, mentre ancora le forze e la voglia di fare potevano sostenere i buoni propositi.
Quella mattina di mezza settimana, mentre stiravo la biancheria, pensavo a tutte queste cose e la mente continuava ad affollarsi di ricordi, suggestioni, domande circa il futuro.
Preso di mezzo dagli indumenti più grandi e nobili, ecco ad un certo punto passarmi tra le mani un umile fazzolettino bianco, di cotone modesto, sfilacciato, consunto per gli anni di onorato servizio che aveva svolto.
Ad un angolo della pezza si vedeva un numeretto rosso, il 235.
Altre volte non avevo osservato il particolare, ma quel giorno la piccola cucitura attirò particolarmente il mio sguardo e mosse la riflessione.
“Ecco – mi dissi – son già passati quasi quindici anni; questo era il numero di matricola di Pierangelo quando entrò in seminario. Ricordo che ho messo quelle tre cifre un po’ dappertutto: sulle magliette, sui calzini, sulle mutande, sulle lenzuola, sui fazzoletti”.
Era scontato che, collegandosi a quel particolare insignificante, sulle prime, il pensiero riandasse a tutta la storia di mio figlio e anche mia.
Avevo tanto sofferto, mettendolo al mondo.
Non era stata colpa sua, evidentemente; ma le complicazioni di quel parto non erano state poche.
Io e suo papà, però – giovani genitori – eravamo come impazziti di gioia, appena fu possibile manifestarla dopo la preoccupazione che accompagnò l’evento.
Il nostro primo figlio, “Un maschio!”, aveva aggiunto subito, orgoglioso, suo papà.
Crescendo quel bimbo, facevamo crescere anche i nostri progetti su di lui, mentre ci domandavamo quali sarebbero stati i suoi.
Era un bambino come tanti, forse capace di qualche monelleria in più; ma niente di preoccupante.
Bene a scuola, bene anche nel resto.
Affascinato dagli aspetti religiosi della vita, lo vedevamo particolarmente attratto dalle celebrazioni in chiesa; partecipava alle funzioni come chierichetto, le ripeteva con i suoi amici a casa. Un gioco, un bellissimo gioco per loro!
Niente di strano, perciò, che mi uscisse un giorno – molto presto – manifestandomi il desiderio di andare in seminario.
Undici anni, aveva, appena!
Io, mamma, l’ho lasciato partire con molta tranquillità. Non voleva che gli preparassi la valigia: amava farsela da solo, ogni volta che tornava.
Aveva paura che lo rimproverassi per i disordine.
Mentre continuavo a fissare quel numeretto rosso, sorridevo scorrendo mentalmente le letterine che ci scambiavamo in quel periodo: da Pierangelo provenivano informazioni sull’andamento dei suoi studi e anche da richieste ingenue che gli portassimo qualche biscottino e qualche dolcetto perché in seminario non s’usava.
Poi l’adolescenza, la giovinezza, l’avvicinarsi di un tempo nel quale si doveva prendere una decisione.
Non riuscivo sempre facilmente ad inserirmi nel piano di Dio, anche se sapevo che avrei potuto dare il mio contributo.
Cosa potevo sapere di quel mio ragazzo taciturno, a volte incomprensibile e misterioso?
Che cosa avrei potuto dirgli? E poi, con chi si confidava, nella ristrettissima cerchia di amici che aveva?
Speravo, pregavo, qualche volta piangevo.
Come tutte le mamme, del resto.
Intuivo le difficoltà di una scelta che pareva ormai consolidarsi, anche se lo vedevo orgoglioso d’indossare, per le prime volte, quel lungo abito nero.
Confidavo in Dio e anche nel mio Pierangelo, che non mi aveva mai delusa nelle aspettative più serie.
Al tempo stesso comprendevo che non era neanche facile essere mamma d’un seminarista.
Mi sentivo coinvolta in quella vocazione, felicemente corresponsabile, timorosa per quell’avventura che stavamo vivendo insieme.
Di pensiero in pensiero, di ricordo in ricordo, tra un piangere e un sorridere, la stiratura del vecchio fazzolettino “235” fu portata a termine.
Adesso pareva nuovo, ma chissà quante volte era stato usato.
Forse aveva asciugato qualche lacrima di mio figlio.
Passai al capo successivo: un’altra umile pezzuola, di lino, molto simile al fazzoletto.
Ormai me ne intendevo di queste cose.
Si trattava di un manutergio, un piccolo asciugamano liturgico.
Pierangelo mi aveva detto di lavarlo con cura e di tenerlo pronto per il grande giorno dell’ordinazione: l’avrebbe usato per detergere le mani unte dal sacro crisma.
E poi l’avrebbe tenuto per ricordo.
Sempre io, la mamma, a lavare e stirare.
Come nel tempo della semina e dell’attesa il fazzolettino, ora, nel tempo del raccolto, quella bianca striscia rituale.
Un passaggio di due stagioni, nella continuità di un umile lavoro domestico.
Nella continuità, soprattutto, dell’amore per un figlio.
Un figlio seminarista, oggi sacerdote del Signore.
Grata al buon Dio per la gioia che mi dava d’assaporare, riposta la biancheria, uscii di casa.
C’era un bel venticello in quell’inizio d’aprile, quasi voce dello Spirito che avrebbe soffiato vigoroso di lì a pochissimi giorni.
Sembrava che tutti mi volessero più bene; e il cuore cantava la felicità di essere madre che attendeva di partorire un’altra volta lo stesso figlio.

(pubblicato sul mensile di Sandrigo, “Lastego”, maggio 1998, p. 3)